7. La sua degna erede

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Alla fine si decise e usò le mani per mangiare. Parve gradire, ma non lo ammise. Mangiammo in silenzio, lui osservandomi mentre addentavo senza riguardo tutto quello che avevo nel vassoio guaendo di soddisfazione, io cercando di non far saltare i punti della mano che tiravano come dei dannati.

Alzai lo sguardo su di lui quando ebbi finito. Sapevo che aspettava il mio segnale per dare inizio al round. Lui aveva terminato prima di me. Non aveva lasciato nulla. Nemmeno le patatine "unte".

«Starai male» commentò, guardandomi come se avesse davvero il diritto di rimproverarmi.

«Ne sarà valsa la pena.»

Spostò di lato il vassoio, guardando schifato la superfice tutt'altro che pulita del tavolino. Io avrei voluto mantenere una barriera tra me e lui, ma lo avrebbe interpretato come un segnale di debolezza, quindi impilai il mio vassoio sul suo, appoggiando poi i gomiti al tavolo. Trevor si riappropriò della sua espressione enigmatica e inquietante. Sì, quella che mi accendeva il fuoco nelle viscere.

« Le regole, Lea, sono importanti. Lo sono per me, ma soprattutto lo sono per te. Hai paura, ma non abbastanza e non delle cose giuste, e questo non è un bene. » Si protese verso di me, scavandomi dentro con la sua voce roca. « Non siamo mai stati soli, da quando siamo usciti da casa tua. Ci sono quattro dei miei uomini fuori da qui. Potresti uscire di corsa senza preavviso, e non li vedresti, ma posso garantirti che se lo facessi con un'arma in mano, potrebbero usare la tua carne per imbottire questi panini prima ancora di rendertene conto. » Il mio processo digestivo, già affaticato, ebbe un'ulteriore battuta d'arresto. Come sua abitudine, Trevor non ebbe incertezze nel proseguire.  Ci sono anche due uomini in casa tua, in questo momento. Stanno cercando indizi, documenti, file, materiale di qualunque tipo che possa essere utile per trovare la soluzione all'enigma che ci ha lasciato in eredità tuo padre. Anche la piccola checca non è sola, Lea. Per fortuna non hai costellato la tua esistenza di amicizie e frequentazioni abituali: mi avresti aggravato il carico di lavoro.»

Iniziai a stritolare la cannuccia di plastica, annodandola su se stessa, ma la dannata mano non mi lasciava tregua nemmeno in quel frangente. Pulsava, tirava e sembrava andare a fuoco, tutto contemporaneamente. E qualcosa di simile mi accadeva nel cervello, dove incameravo l'ennesima spiegazione di Trevor, faticando ad accettarne il peso, come se ogni concetto espresso, pur nella sua inquietante concretezza, mi risultasse astratto, lontano. Impossibile da accogliere per me che, dalla morte di mio padre, avevo condotto un'esistenza non certo ordinaria, ma comunque sicura.

E poi c'era quel magma immobile cristallizzato nel suo sguardo che mi mandava in tilt divorando la già scarsa lucidità di cui disponevo in quei giorni.

«Il piano originale era un altro: dovevi entrare alla Baker, saresti stata vicina, ci saremmo intrufolati nella tua vita in punta di piedi, avremmo cercato quello che ci serviva e, se fossimo riusciti a trovarlo, ne saremmo usciti senza che tu ti accorgessi di nulla.»

Mi prese la cannuccia dalla mano, privandomi anche di quella fuga dai suoi occhi. Mi alzò il mento con due dita.

«Forse tutto questo sarebbe accaduto lo stesso, poi: non sappiamo cosa cercare, né dove, Lea. E a quel punto, sai, avremmo dovuto coinvolgerti ugualmente. Ho lasciato Londra per te. Ho aperto un'agenzia a nome di una delle mie numerose società per te, in questa città che non vanta nemmeno un aeroporto del cazzo. Tutto questo mi è costato parecchio, e non parlo solo di soldi.»

Niente di quello che mi stava dicendo mi stupiva: mi ero già fatta un'idea della situazione. Attendevo con tensione la parte che mi avrebbe chiarito il perché del momento: perché otto anni dopo la morte di mio padre, e non prima. Speravo di sbagliarmi, ma il sospetto mi dilaniava. Forse stavo per prendere atto di aver commesso un errore. Restava da stabilire quanto grosso.

«Ma tu hai rifiutato il posto alla Baker, e questo mi ha insospettito. Pensavo che fosse tuo padre, l'uomo dei segreti. Ma forse ho davanti la sua degna erede. Dimmi cosa sai, Lea. Adesso. Così, magari, questa storia finisce molto prima del previsto.»

Il mio mazzo di carte era piuttosto misero, e non avevo molti assi in mano. Nemmeno nella manica. Cercai di giocare meglio che potevo.

«Io non credo sia il caso di parlarne qui.»

Scosse appena la testa, poco convinto.

«Non c'è posto migliore, invece. La luce del sole è il più affidabile dei nascondigli, soprattutto per uno come me. Dimmi cosa sai.»

Mi appoggiai allo schienale ma mi guardai bene dal farlo con la pesantezza che aveva usato Vitale giorni prima: la mia sconfitta non poteva essere così poco elegante.

«So del virus, a cosa serve, e che ha già infettato Wall Street da quasi dieci anni. Papà era solo un tramite, Trevor. Lavorava alla sezione crimini informatici, non l'ha creato lui.»

«Ma è lui che lo ha messo in quarantena, vero? È lui che ha congelato i guadagni e i conti. Lui che ha bloccato tutto, prima di impiccarsi.»

Negare sarebbe stato inutile: il suo suicidio era una confessione.

«Suppongo di sì, anche se non è certo venuto a confessarsi da me, prima di mandare a puttane tutto quanto.»

Trevor mi guardò per la prima volta con quella che oserei definire una profonda diffidenza.

«Perché lo ha fatto?»

Mi strinsi nelle spalle.

«Speravo me lo dicessi tu, sinceramente.»

Mi studiò qualche secondo. Non se la stava bevendo. Lo avevo immaginato.

«Che ruolo avevi, in tutto questo?»

Mi sfuggì una breve risata dalla bocca.

«Quello di una neo diplomata in cerca di occupazione. I guadagni di quella roba non sono mai finiti nelle mie tasche, né nelle sue. Forse perché finivano nelle tue, Trevor Baker? »

E per la prima volta lo vidi fare quello che avevo fatto io poco prima: incassare una sconfitta, ma con una certa eleganza.

«No, nemmeno nelle mie, sebbene l'accordo con i russi e i canadesi prevedesse una percentuale per tutti.»

Aggrottai le sopracciglia. Questa mi mancava.

«I Canadesi?»

Trevor sorrise.

«Servivano altri cervelli per l'operazione, e i russi non volevano gli statunitensi in squadra. Degli arabi non ci siamo mai fidati. Dei cinesi men che meno.»

Stavolta sorrisi io.

«I russi, invece, brava gente.»

Il suo sorriso si trasformò in una mezza risata. «Fatto sta che a mandare tutto all'aria è stato un italiano. Tuo padre.»

«Facciamo due passi, Baker. Devo digerire prima di sentire le tue regole del cazzo. E un po' d'aria mi farà bene, mentre mi spieghi perché sei rispuntato adesso, e cosa ti aspetti che possa fare per te una puttana digitale.» 

SPAZIO AUTRICE

Il prossimo capitolo svela le esigenze di Trevor e il ruolo di Lea... sarà una chiacchierata assolutamente pacifica e priva di stimoli divergenti. 

SPECIAL GUEST STAR DEL CAPITOLO

IL PASTO CHE NON PREVEDE LE POSATE:

immagino rimosse

PRICELESSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora