Capitolo 2

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Caleb

Sono nel mio ufficio a trafficare con le scartoffie, osservo dalla vetrata il paesaggio circostante dal grattacielo del quartier generale di polizia dove lavoro.
Percepisco il rumore del traffico cittadino.
Lo sguardo scorre sulle auto in coda in strada, sento i clacson risuonare poi pian piano i rumori sciamano.
Lancio lo sguardo alla scrivania, la foto nella cornice che mi ritrae insieme ai miei fratelli, Nathan e Matthew, in posa sorridenti e in divisa di polizia, Nathan dai capelli castani e gli occhi azzurri, sorride accanto a me al centro il ragazzo dai capelli neri e occhi azzurri, e alla mia destra Matthew che mi tiene una mano sulla spalla, è molto simile a Nathan essendo gemelli.

Mi perdo nei pensieri riguardanti mio fratello Nathan, sono entrato di nuovo nella squadra di polizia, ma lavoro in una sede diversa dalla sua.
In passato ho avuto problemi legati alla dipendenza da stupefacenti e, mi costò il lavoro, per poco rischiai di perdere anche Nathan. Ero un mostro, non ero più me stesso a tal punto che, in un litigio con Nathan, rischiai di ucciderlo. Mio fratello che voleva solo salvarmi...
Dio, quanti anni sono trascorsi da quel giorno! Se adesso sono di nuovo me stesso lo devo solo a lui e al sostegno della mia famiglia, dopo un lungo tempo in un centro di disintossicazione finalmente sono uscito dal tunnel della droga.

All'improvviso il trillo del telefono fisso mi fa trasalire. Chi sarà adesso?
Alzo gli occhi al cielo annoiato, afferro il cordless e prima di portarlo all'orecchio, intravedo sul display il numero per le emergenze. Premo il tasto per accettare la chiamata e un po' accigliato rispondo. «Pronto?»
«Pronto! C'è un'emergenza, è in atto una lite familiare in un'abitazione ad Ankeny Alley, la prego mandate dei soccorsi, e un'ambulanza!» Risponde una voce maschile concitata.
«Cosa? Va bene, si calmi, mi dica correttamente l'indirizzo, e manderò dei soccorsi», comunico mantenendo un tono neutro.
«D'accordo, grazie, allora, l'edificio vicino alla Banca d'Occidente. Al quinto piano numero 305. Sono un coinquilino e mi sono allarmato nell'udire le urla.»
«Non si preoccupi, i soccorsi stanno arrivando.» Chiudo la chiamata e lasciando le scartoffie sulla scrivania, infilo il cappotto, spengo il portatile, afferro le chiavi dell'auto nello svuotatasche sulla scrivania e le infilo nella tasca del cappotto, chiudo i fascicoli nel cassetto  della scrivania, avanzo verso la porta e mi lascio alle spalle il loft.
Esco di corsa dall'edificio prendo il cellulare, e subito dopo, insieme ai miei colleghi salgo a bordo della mia auto e ci dirigiamo sul luogo mentre si unisce alla corsa un'ambulanza.

«Ehi, Caleb, dunque dobbiamo dirigerci al quinto piano dell'edificio vicino alla Banca d'Occidente. Siamo quasi arrivati, chissà cosa succederà una volta lì, prepariamoci a ogni evenienza.» Riferisce cauto il mio collega Ronan, capelli corvini e profondi occhi scuri, seduto sul sedile passeggero. «Non so che cosa ci attenda una volta che saremo lì, ma immagino che sia successo qualcosa di grave per chiedere i soccorsi...» Sbuffando spazientito, accelero con le sirene spiegate, mi sembra di aver visto la Chevrolet di Nathan, accostare per farmi proseguire, volevo salutarlo, ma non ne ho avuto il tempo.
Giungiamo sul luogo in pochi minuti insieme all'ambulanza.

Entriamo nell'edificio, e una volta raggiunto il quinto piano con l'ascensore, usciti dalla cabina vediamo una donna dai capelli biondi con una ferita alla tempia, noto che trema convulsamente mentre piange, seduta davanti all'ingresso dell'appartamento numero 305. «Signora? Cos'è successo?» Chiedo cortesemente avvicinandomi.
«Mio marito... Io non volevo colpirlo, l'ho fatto per autodifesa! L-Lui mi picchiava, e-era violento...» Afferma gesticolando, balbettando, e alzando lo sguardo verso di me, i suoi occhi verdi umidi di lacrime mi guardano incupiti, le labbra tremanti e tra i singhiozzi, concitata si avvicina le mani al viso.
«Sono l'agente Caleb Dennisov, e lui è il mio collega Ronan O' Connor», indicando il mio partner che se ne sta lì con le braccia conserte al petto.
«E-Ellen Smith», riesce a rispondere con titubanza.
I paramedici soccorrono la donna, prestando tempestivamente cure mediche.
È sotto shock, mentre la fanno accomodare sulla barella, in questo istante, entrando in casa insieme al mio collega, intravedo in soggiorno steso sul pavimento ai piedi di un divano colore pistacchio, il corpo dell'uomo, è supino con il volto rivolto verso il suolo e un'ampia chiazza cremisi imbratta il pavimento di gres porcellanato effetto parquet. Poco distante da lui giace una mazza da baseball insanguinata.

Ronan si inginocchia sul pavimento e infilando i guanti in lattice raccoglie le tracce biologiche lasciate sull'arma con un panno e lo ripone in una bustina di cellophane nella sua ventiquattrore. «Tracce ematiche da analizzare in laboratorio.»
«Ronan, guarda, ci sono macchie di sangue vicino la parete... Probabilmente l'uomo è stato colpito alle spalle, un colpo alla testa l'ha tramortito, e il sangue è schizzato imbrattando la parete.» Osservando la posizione dell'uomo steso su un lato. «Dunque, Ellen, lo ha colpito alla testa con quell'arma, lo ha ammesso lei...» Comunico mentre mi inginocchio accanto all'uomo, e constato che è ancora vivo, il suo cuore batte ancora, e in questo istante vedo entrare i paramedici che con delicatezza lo sollevano e lo adagiano sulla barella. «Dobbiamo portarlo all'ospedale Adventist Health. È grave.» Comunica un dottore dai capelli rossi, occhi verdi e lentiggini sulle guance. In questo preciso istante io e il mio collega usciamo dall'appartamento.
«Come sta mio marito?» Chiede la donna mentre si è fermata vicino alla barella dove giace il suo consorte.
«Si salverà, ma dobbiamo fare presto!» Pronuncia il medico entrando nell'ascensore spingendo la barella, seguito dai suoi colleghi, spariscono dietro alle porte d'acciaio.

«Signora, mi segua in centrale, ho alcune domande da farle... Ho bisogno di analizzare le sue impronte digitali e vedere se corrispondono a quelle esistenti sull'arma...» Poggiandole una mano sulla spalla.
«Lo ripeto, non volevo, sono stata costretta a reagire! Mio marito Steven mi ha picchiata selvaggiamente, troverà le mie impronte digitali! Victor, mio figlio è scappato nell'assistere a ciò che è successo. Vi prego cercatelo, non so dove sia, sono in ansia per lui, non risponde più al cellulare, ho paura che gli sia successo qualcosa!» Pronuncia tra i singhiozzi mentre sbircia dentro al suo portafoglio e mi consegna una foto.

È un ragazzo dai capelli neri e gli occhi color cioccolato, credo abbia una ventina di anni, in questa foto sorride all'obiettivo insieme a sua madre. «Caleb, ascoltami, io porto la signora in caserma, e tu cerchi il ragazzo, va bene?» Consiglia Ronan dandomi una pacca sulla spalla.
«D'accordo, allora ci separiamo una volta giunti in caserma», ribatto osservando l'espressione sollevata della donna che accompagniamo al nostro quartier generale.
In questo preciso istante, intravedo mio fratello Nathan, avanzare nel corridoio, e noto la sua espressione turbata. «Caleb, ehi, ma cosa sta succedendo?» Chiede concitato, guardandomi accigliato.
«Nathan, per favore aiutatemi a trovare questo ragazzo, si chiama Victor, è scomparso da un po' il suo cellulare non risulta più attivo.» Comunico mostrandogli la foto del ragazzo.
Mio fratello la osserva, subito dopo lo vedo sbiancare e assumere un'espressione confusa.

Murderer SuspectWhere stories live. Discover now