Capitolo 42-2 parte

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Nathan

Nel corridoio intravedo, Matthew e Caleb, sono vicino alla porta della break room. Sono abbastanza lontani e non riesco a sentire di cosa stanno parlando.
Con un cenno della testa li saluto per poi voltare le spalle e avanzare nel corridoio e una volta raggiunto l'uscita dell'edificio sento una voce chiamarmi. Voltandomi vedo Rebecca che mi raggiunge. «Ehi, aspetta, dove stai andando?»

Questa tipa non mi piace affatto, le ho già detto che vado di fretta! Ma quanto è insistente?! Non sono affari che ti riguardano, vorrei dirle.

«Scusami, ma devo andare!» Distaccato la ignoro e raggiungo la mia auto, faccio salire Snow sul sedile posteriore e salgo al lato guida.

Rebecca mi raggiunge e si avvicina al lato sinistro. «Perché prima quando mi hai vista eri sbiancato? Avevi uno sguardo sconvolto, come se ti avessi ricordato qualcuno a cui tenevi.» I suoi occhi azzurri mi guardano seri.
«Scusa, ma non ho proprio voglia di parlare del mio passato!» La saluto con un cenno della testa e mi allontano diretto all'università.

Durante il tragitto il ricordo vivido della morte di Jasmine torna a popolare la mia mente tormentandomi. No, perché la mia collega me l' ha ricordata? Già sono pieno di traumi e adesso anche l'arrivo della nuova collega identica alla mia ex ormai morta da anni.
E se fosse una sua sorella gemella? No, non credo di cognome fa Lowe, il suo era Cooper.

Fermo l'auto fuori l'università scendo dalla vettura, faccio scendere Snow e con lui al guinzaglio entro nell'istituto sotto gli sguardi divertiti degli studenti. «Buongiorno prof. Che carino questo cagnolino, è il suo?!» Chiede Allison vicino all'armadietto, chinandosi ad accarezzarlo. «Sì, è mio, si chiama Snow!» Rispondo fiero. Ricordo il mio primo incontro con quella piccola palla di pelo bianco: lo salvai da qualcuno che lo gettò nel bidone dei rifiuti, se non era per me sarebbe morto per ipotermia, era inverno e faceva freddo.

Saluto la ragazza, mi avvio nell'aula e una volta entrato intravedo che c'è Jake seduto al banco in seconda fila a destra mentre il banco occupato da Victor è vuoto.
È assente? Avrà marinato la scuola? E se gli sia successo qualcosa? Se qualcuno lo abbia rapito? Dio, non riuscirei a perdonarmelo. Mi faccio i film mentali, percependo l'ansia crescere di minuto in minuto.

Poi, la porta dell'aula si spalanca e lo vedo entrare. Sospiro nel vedere che sta bene, mi saluta con un cenno della testa per poi sedersi al suo banco nella seconda fila a sinistra vicino alla finestra. «Buongiorno ragazzi, dunque oggi spiegherò il realismo americano...» Nell'aula si eleva un chiacchiericcio, sento bisbigli e alcune risatine che appartengono perlopiù alle ragazze.
Stranamente sia i ragazzi e le ragazze mi osservano con sguardi incantati nemmeno fossi un angelo sceso sulla Terra... mi viene da ridere.
Tossisco per schiarirmi la voce. «Dicevo, il termine realismo americano indica uno stile d'arte sviluppatosi negli Stati Uniti d'America che ha come soggetto le attività giornaliere di persone socialmente contemporanea. Il movimento inizia a metà del diciannovesimo e agli inizi del ventesimo secolo diventa un'importante influenza per molti artisti il cui obiettivo era ricreare ciò che era reale. Gli artisti che facevano parte del realismo cercavano di ricreare i paesaggi e la cultura americana attraverso gli occhi di persone semplici, usavano le sensazioni e i suoni delle città come ispirazione per i propri lavori. In questo modo ci si allontanava dalle storie di fantasia, per concentrarsi su ciò che stava accadendo e su cosa volesse dire vivere nel presente. Tra i grandi artisti abbiamo George Bellows. (1882- 1925) è riconosciuto tutt'oggi per la sua abilità di catturare lo spirito dei personaggi dell'America del ventesimo secolo, precisamente della città di New York. Ha apportato grande contributo alla paesaggistica americana, così come alla ritrattistica. Le sue linee veloci e leggere danno vita ad immagini dinamiche, come si può vedere dai suoi disegni che hanno come soggetto degli incontri di boxe...» Faccio una pausa, osservo la reazione del sospettato: il ragazzo come l'altra volta se ne sta seduto scomposto e scarabocchia qualcosa sul suo quaderno invece di prendere appunti come stanno facendo gli altri studenti.

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