Capitolo 7

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Victor

La chiamata di Jake mi ha scombussolato dicendomi che doveva parlarmi di una cosa importante.

Sbuffando scrivo un messaggio al mio amico dicendogli che ci rivedremo al nostro ritrovo e ripongo il cellulare in tasca.
Nathan gentilmente mi ha consegnato il suo numero di cellulare scritto su un biglietto, ma è ignaro che io l'ho già salvato sulla SIM.
Mi ha promesso che in caso di bisogno lui mi aiuterà, non credo affatto che mantenga la sua parola, non riesco a parlargli dei miei problemi familiari oppure dovrei fidarmi di lui?

In questo istante vedo mia madre con un'aria sconsolata, uscire dalla stanza in cui è ricoverato il mio patrigno.
«Victor, signora Ellen, vi accompagno a casa.» Si propone l'uomo dai capelli neri e dagli occhi castani, se ricordo bene si chiama Ronan.
«Grazie, agente, andiamo Victor», e in questo istante usciamo dall'ospedale e salgo nell'auto del poliziotto insieme a mia madre. Nathan mi saluta con un cenno del capo mentre la macchina parte.

Mia madre è seduta accanto al posto guida, mentre io sono sul sedile posteriore.
Osservo il paesaggio circostante dal finestrino abbassato, le case e i pedoni che proseguono sul marciapiede. Il suono dei clacson, percepisco l'odore del cibo degli street food.

«È da tanto tempo che non ci vedevamo...» Chiosa il poliziotto.
«Sono trascorsi tanti anni dall'ultima volta che ci siamo visti, sono successe tante cose... È stato bello rivederti.» Afferma mia madre.
«Mamma chi è quest'uomo sembra che lo conosci...» Inizio a dire cercando di catturare qualche informazione utile.
«Oh, tesoro, lui è Ronan O'Connor ed è un mio caro amico...» Confessa lei mentre il suo tono di voce non nasconde la sua emozione.

L'auto si ferma e comprendo che siamo arrivati a casa. «Grazie del passaggio», esala mia madre scendendo dall'auto chiudendo lo sportello.
«Grazie, signore...» Dico mentre sto per aprire lo sportello. «Chiamami semplicemente Ronan, ci si rivede ragazzo», mi saluta dallo specchietto retrovisore con un sorriso e il saluto militare, sembra un tipo apposto, gentile, simpatico, il tipo di uomo che vedrei felice accanto a mia madre.
«Arrivederci Ronan», lo saluto uscendo dalla vettura.
Raggiungo mia madre all'ingresso dell'edificio dove abitiamo, aprendo la porta d'ingresso, percorrendo il breve corridoio e insieme a lei ci sediamo sul divano del soggiorno. Sulla parete la chiazza di sangue del bastardo che ho aggredito non c'è più.

Probabilmente la polizia scientifica l'ha analizzata e ha provveduto a pulirla.
«Victor, ascoltami, l'altro giorno mi hanno telefonato dal college e mi hanno detto che stai continuando ad assentarti da molto... perché non ti impegni nello studio? Sei uno studente brillante, i professori sono tutti orgogliosi di te... Non devi abbandonare la scuola è importante!» Conclude guardandomi con un'espressione delusa.
«Mamma, mi dispiace davvero, ti prometto che da domani tornerò a scuola e mi impegnerò nello studio.» Affermo sorridendo.
«Sai che ti voglio un mondo di bene e che desidero solo il meglio per te.»
«Lo so, mamma è lo stesso anche per me. Sei l'unica persona più importante che ho», farfuglio trattenendo le lacrime. Non voglio che mi veda fragile, devo essere forte per lei. Devo essere più deciso e fare qualcosa per migliorare le nostre vite. Forse è giusto che torni a scuola per crearmi un futuro.

Mi torna alla mente la promessa fatta a Jake di incontrarci alla stazione.
«Mamma, io devo uscire un attimo, ci vediamo più tardi.», raggiungendo l'attaccapanni; infilo il cappello in testa e la sciarpa al collo. «Tesoro, mi raccomando fai attenzione.» Mi osserva apprensiva. La guardo e con un'espressione scherzosa la abbraccio. «Non preoccuparti, vado solo al McDonald's con Jake. Tutto qui», chiarisco per tranquillizzarla.

In effetti questa è la mia idea di andare a mangiarci un panino insieme e parlare fra di noi.
E una volta salutata mia madre con un bacio sulla guancia, esco di casa e raggiungo Jake alla stazione una ventina di minuti dopo. Lo vedo seduto sulla pensilina della metropolitana. Appena mi vede mi saluta con un cenno della mano e mi si avvicina. «Ti va se consumiamo un panino al Mcdonald's?» Domando guardandolo.

«Ottima idea, ho una fame! Andiamo, ti racconterò tutto strada facendo», e insieme a lui proseguiamo il tragitto per raggiungere i chioschi dove ci sono anche i Mcdonald's.

Ordiniamo dei Cheeseburger e ci accomodiamo a un tavolino dove ceniamo in tranquillità e fra un morso e l'altro sorseggiamo una birra conversando fra di noi.
Jake mi racconta di quando è entrato nella setta della confraternita e il suo capo era un certo Marcus Reed, ricordo che è colui che è stato arrestato da Nathan.
«Fai parte di una setta Satanica? Oddio, Jake, non farti plagiare, tu non sei come loro!» Borbotto a denti stretti dalla rabbia.

«Mi dispiace Victor, ormai ci sono dentro, faccio parte della Setta, e non posso abbandonare il gruppo, abbiamo fatto un patto, chi tenta di tradire la confraternita verrà ucciso, e io non ci tengo a morire.» Farfuglia con lo sguardo basso sfregandosi la mano destra.

«Ti sei messo nei guai da solo, ma ci stai con la testa?» Lo rimprovero evitando di alzare la voce.

In questo istante mi guardo intorno, e per una strana coincidenza intravedo Nathan seduto a un tavolo insieme a un bambino che gli somiglia molto; credo sia suo figlio e una donna ipotizzo sia la moglie. Nathan è affettuoso con il bambino, scherzano fra di loro sono una famiglia perfetta. Stanno cenando in armonia e vederli così in sintonia li invidio.

«Ehi, Victor, ti sei incantato a guardare Nathan o sbaglio?» La voce di Jake mi desta dai miei pensieri.
«Lo invidio perché è così contento e soprattutto il figlio è felice non come me che ho un bastardo come patrigno!» Borbotto serrando il pugno destro con forza.
In questo istante incrocio lo sguardo di Nathan che mi guarda con un'espressione sorpresa. Mi sorride, salutandomi con un cenno della mano.

«Jake, andiamo via, accompagnami a casa», borbotto evitando di guardare nella direzione della bella famigliola felice seduta a quel tavolo, al che mi alzo e insieme a Jake vado via. Lancio un ultimo sguardo a quel tavolo e intravedo Nathan che sta guardando verso di me, incrocio il suo sguardo e questa volta quei diamanti azzurri sembrano tristi. Ignorando il suo saluto esco dal locale con il mio amico.

«Ehi, ma che ti prende? Nathan, ti aveva salutato, perché lo hai ignorato?» Mi chiede Jake guardandomi perplesso mentre camminiamo verso la moto in sosta.

«Non mi andava di parlargli o di vederlo, crede che lui possa aiutarmi con la situazione del mio patrigno», sbotto affondando le mani nelle tasche e calciando un sassolino sul marciapiede.

«So che non ti fidi di lui, eppure Nathan è una brava persona, lo so perché ho visto molti servizi ai notiziari che narravano delle sue gesta eroiche e del suo impegno contro il crimine... Se fossi in te gli parlerei dei tuoi problemi. Dai, monta su ti accompagno a casa», ammette Jake con un sorriso mentre sale in sella alla moto.
Salgo dietro di lui e una volta messo in moto giungiamo a casa dopo una ventina di minuti.
Ci salutiamo fuori alla mia abitazione, e una volta che il mio amico mi saluta, mette in moto e si allontana.
Mia madre apre la porta d'ingresso e mi accoglie in casa con gli occhi lucidi. «Mamma, cos'hai ma stai piangendo?» Chiedo ansioso.
«Se lui dovesse riprendersi e ricordare tutto... potrebbe denunciarti e farti arrestare, non voglio che la polizia ti porti via, anzi desidero che arrestino lui e non te!» Ammette tra i singhiozzi mentre mi abbraccia.

La stringo forte tra le braccia e serro gli occhi.
Sarebbe bello se Nathan e i suoi colleghi sapessero la verità, che siamo noi le vittime di tutto il male che abbiamo subìto dal mio patrigno.
Entrambi siamo stanchi e dopo esserci scambiati il bacio della buonanotte ci separiamo ognuno nella sua stanza.
Una volta che sono disteso nel letto con lo sguardo al soffitto a meditare su cosa fare finché le palpebre diventano pesanti ed entro nel mondo dei sogni.

Murderer SuspectWhere stories live. Discover now