Capitolo 70

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Nathan

«Sai, papà, mi piacerebbe tanto avere una casa sull'albero nel nostro giardino?» Esprime mio figlio Alex, guardandomi con uno sguardo trasognato, seduto al sedile passeggero accanto a me. L'auto è ferma davanti all'edificio scolastico.
Incredulo dalla sua proposta, sorrido, avvicinando la mano sotto al mento. «Hm... Vorresti una casa sull'albero, eh? Bene, sappi che ci vorrà un po' di tempo per costruirla, ma ti prometto che sarà bellissima!» Ribatto con fermezza scompigliandogli i capelli castano cioccolato.
Alex alza lo sguardo e vedo i suoi occhi azzurri brillare di gioia, mi abbraccia forte a sé e piange. «Oh, che bello, papà, davvero costruirai la casa sull'albero? Sono così felice, grazie!» Farfuglia singhiozzando.

«Cucciolo, perché piangi? Sorridi, in fondo il tuo papà è il miglior creatore di case sugli alberi! Vedrai che quando sarà ultimata resterai sorpreso, per te tesoro, questo e altro!»

Ricordo che mio padre quando io ero piccolo costruì proprio una nel giardino della nostra ex abitazione.
«Visto che serve il materiale per costruirla, quando torno dal lavoro inizio a procurarmi l'essenziale, in garage dovrebbe esserci della legna, e il kit di utensili...» Affermo pensoso.

Alex gioioso mi scocca un bacio sulla guancia. «Che bello, papà, allora oggi inizierai il progetto, sono così felice, poi ti aiuto, ci vediamo a dopo!» Esclama aprendo lo sportello scende dall'auto. «Ciao pulcino», lo saluto e lo seguo con lo sguardo avviarsi nell'edificio.

Sospiro, passandomi una mano sotto il mento. Dunque, oggi devo portare al parco Alex, e iniziare a costruire la casa sull'albero.
Segno gli impegni sul mio block notes e avviando il motore mi dirigo al Dipartimento di polizia.

Nel corso del tragitto il cielo si va pian piano oscurando; il bel colore azzurro lascia posto al grigio delle nuvole, che mi fa intuire che a breve pioverà. Passano pochi minuti, poi sul parabrezza iniziano a scivolare i primi rivoli d'acqua, che si intensificano fino a diventare uno scorrere violento di pioggia. Resto bloccato nel centro cittadino.
Il tergicristallo sul parabrezza riesce a malapena a contenere tutta l'acqua che cade dall'alto.
Sento i suoni dei clacson diventare assordanti, le auto in coda e alcuni tuoni rimbombano. Vedo i fulmini che squarciano il cielo.
Sbuffo annoiato, tamburellando le dita sul volante.
Sospiro risollevato, uscendo da quel caos e, dopo una mezz'ora, finalmente riesco a raggiungere la mia destinazione.
Spengo la macchina e osservo l'assurdo temporale che sta inondando Portland da ieri pomeriggio. Ovviamente con un tempo del genere solo io, l'impavido agente Nathan, potevo dimenticare l'ombrello!

Sbuffo per l'ennesima volta, chiudendo gli occhi, come se per miracolo, riaprendoli, trovassi un ombrello sul sedile del passeggero.

Apro gli occhi lentamente, ma ovviamente i miracoli non comprendono la comparsa di ombrelli in caso di bisogno immediato.

Continuo a osservare la pioggia incessante che colpisce sonoramente il parabrezza dell'auto. Afferro la mia ventiquattrore, e mi preparo per scendere sotto il diluvio.

Ovviamente, proprio per via del tempo, gli abituali dipendenti del Dipartimento che amavano venire al lavoro in bici o in moto hanno optato per la macchina, quindi tutti i parcheggi liberi sono anche lontani dall'ingresso.

Sbuffo maledicendo il baffuto meteorologo che ieri sera ha annunciato ufficialmente la grossa perturbazione che avrebbe infradiciato la nostra città. In fondo non dovrei prendermela con lui, ma con qualcuno un po' più in alto. Ma siccome sono fondamentalmente religioso, evito di cadere in subdole e inutili, quanto offensive, maledizioni.

Questa cosa, mio malgrado, mi fa sorridere: mia madre mi diceva sempre che ogni volta che offendiamo Lui, un angelo piange. Da piccolo mi ha profondamente turbato questa storia, e ammetto che ancora oggi mi commuove.

Murderer SuspectWhere stories live. Discover now