71. Cain

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Apre la portiera e fa salire Ginger in macchina senza tante cerimonie, poi, mentre fà il giro per salire al posto di guida si sfila il farfallino e si leva la giacca. Questa assurda sceneggiata è durata anche troppo.

Si siede, si volta per buttare le cose che ha in mano sul sedile posteriore, afferra il volante e  fà rombare il motore per poi premere sul pedale e andarsene di lì a velocità supersonica.

Vuole andare a casa sua, sbattere Ginger sul letto e scopare fino alla mattina seguente, senza pensare ad altro. Sua madre, sua sorella, suo padre... sapeva che sarebbe andata così, li conosce da sempre  e c'è un motivo se se ne è tenuto alla larga per anni.. che idea idiota pensare che potesse essere cambiato qualcosa.

Stringe il volante con entrambe le mani e guida, concentrandosi solo sulla strada. Più va veloce più deve concentrarsi, quindi spinge il motore al limite e non pensa ad altro se non a inseguire la linea bianca al centro della carreggiata, astraendosi completamente da tutto il resto. 

E' la sua specialità.

Quando si batte sul ring gli succede la stessa cosa: esclude tutto. Prima il pubblico, le urla, il tifo, il rumore; poi cancella le luci, le telecamere, i giornalisti , qualunque cosa al di fuori dal ring;  infine  i membri del suo staff che stazionano vicino alle corde. Non ha bisogno di nessuno. Restano solo lui ed il suo avversario, che potrebbe essere chiunque.

E' solo un altro ostacolo sulla sua strada. 

Da annientare.

Guida superando ogni auto che incontra, la musica che esce dall'autoradio come  sottofondo ad isolarlo dal mondo, non pensa neanche più a Ginger o a quello che si è lasciato alle spalle, si concentra solo sulla strada, sul volante che stringe tra le mani e sul pedale dell'accelerazione a tavoletta.

Quando la macchina si ferma , si guarda introno: non è dove dovrebbe essere. E' sotto casa di Ginger e in un barlume di lucidità pensa che forse sia meglio così, non è sicuramente lei la persona più adatta su cui sfogare la sua frustrazione sessuale, per oggi ha già fatto abbastanza cazzate.

Si volta alla sua destra, consapevole nell'ultimo quarto d'ora di averla completamente ignorata.

La trova lì, seduta nel posto del passeggero, intenta a fissare la borsetta che stringe tra le mani.

Fa per dire qualcosa ma lei lo precede. 

'Scusami'

E' un sussurro, che riesce a percepire appena.

La fissa senza capire di cosa si stia scusando, semmai è lui che le deve delle scuse ma poi lei si volta e lo guarda con gli occhi più tristi ed affranti con cui sia mai stato guardato in tutta la sua vita. 

E' come se, per la prima volta, qualcuno lo vedesse davvero.

In quegli occhi c'è tutta la tristezza che sente dentro in quell'esatto momento e che si ostina ad ignorare con stoica determinazione.

Ginger continua a fissarlo rendendogli impossibile abbassare lo sguardo. E' certo che se non lo fà,  per qualche assurda ragione  lei riuscirà a leggergli dentro, andando oltre le barriere che lo proteggono da sempre. 

Eppure non ci riesce. 

Si sente esposto. 

Si sente nudo.

Si sente indifeso.

Lei scuote la testa piano e lo ripete ancora, senza levargli quegli occhi enormi dalla faccia.

'Sono stata una stupida. Scusami.'

Anche se finge di non capire, sà bene di cosa si sta scusando. 

Sà bene che se lei non avesse insistito, mettendo il naso in cose che non la riguardavano affatto, lui avrebbe evitato l'ennesima delusione. 

Sà bene che non avrebbe dovuto convincerlo ad andare a quella maledetta festa senza sapere nulla di come stavano realmente le cose tra lui e la sua famiglia. Spingerlo a sperare in un lieto fine che evidentemente  non ci sarà mai è stato ingenuo e crudele,  dovrebbe avercela con lei per questo.

Ma anche se in quel momento dovrebbe odiarla, anche se  dovrebbe incolparla per avergli fatto mettere piede ancora una volta in quel maledetto studio, dove il tempo  sembra non passare mai e  suo padre è sempre in grado, ogni volta, con un semplice sguardo, di farlo sentire  una perfetta nullità, lui non ci riesce.

L'unica cosa che legge in quegli occhi è un dispiacere sincero.  

Una reale compassione.

E non nel senso di pietà - una pietà che è quasi disprezzo. 

No, quello che vede è compassione  nel suo significato originale,  più nobile, di respiro  più ampio. La compassione come reale partecipazione alla sofferenza dell'altro. Non un sentimento di pena che va dall' alto verso il basso, ma  una comunione reale, intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio, ma che condividi lo stesso nel tuo animo e che  porta ad un'unità ben più profonda e pura di ogni altro sentimento che possa legare due esseri umani.

E' la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio, ed è la testa di ponte per una comunione autentica non solo di sofferenza, ma anche -e soprattutto- di gioia vitale e di entusiasmi futuri.

Per questo, quando lei allunga una mano per accarezzargli la guancia ispida lui resta immobile, senza ritrarsi.

E quando lei si sporge verso di lui, e lo bacia non può fare a meno di ricambiare. Sprofonda in quel bacio come in un rifugio sicuro, caldo e accogliente. Se la stringe addosso come se fosse l'unico rimedio capace di contrastare il gelo che ha dentro. Ha bisogno di sentirsela addosso dappertutto, la sua pelle, il suo profumo... assapora quelle labbra che vorrebbe divorare con lentezza.

Ginger sussurra piano.

'Vieni su da me.'

Si blocca all'istante. Sà bene che stasera non è presente a se stesso.

Quando le stà vicino ha bisogno di tutto il suo autocontrollo e stasera, sicuramente, non ce l'ha.

'Lillith,  non credo che sia una buona idea.'

Ha la voce roca e fare uscire quelle parole è  così difficile che gli sembra non siano neanche sue. Ginger gli prende il viso con entrambe le mani e lo bacia ancora, con più convinzione.

'Vieni su con me.'

Sussurra ancora.

Ed è come il canto di una sirena, lui non può resisterle.


Fuoco e fiammeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora