89. Ginger

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Sono i primi di agosto, ed il caldo è davvero impossibile.

Raccoglie i capelli sopra la testa, indossa una canotta nera ed un paio di pantaloncini corti di jeans, infila le sue sneakers ed è pronta. Si guarda allo specchio, critica, e decide di truccarsi un po'. 

Mette l'eyeliner, il mascara e un rossetto leggero... ma poi il rossetto lo tira via. E' troppo. Non vuole che Cain pensi che si è fatta bella per lui, anche se è proprio così che stanno le cose. Torna in bagno e si mette il deodorante , poi scioglie i capelli,  prende il prodotto che gli ha consegnato Jack, il moroso di Sam e dopo essersene cosparsa le mani in abbondanza se li massaggia per poi raccoglierli nuovamente. 

Ha scoperto che adora le donne che lasciano una leggera scia di profumo, vuole essere così anche lei.  Si chiede se non stia esagerando. Ma poi decide di no.

Cain è abituato a belle donne, affascinanti e sensuali. Non vuole entrare in competizione, sà bene che deve piacergli per com'è, ma questo non significa essere trasandata. Infila gli occhiali da sole , prende  borsa, cellulare, chiavi e la sua inseparabile agenda.

In un attimo sta correndo giù per le scale, non vede l'ora di vederlo.

E' felice.

Felice come non crede di essere stata da un sacco di tempo. Si sente leggera, spensierata, giovane. Le sembra di avere tutta una vita davanti, quando fino a pochi mesi prima non vedeva nient' altro se non il lavoro e la tranquilla solitudine del suo appartamento.

Infila gli auricolari e ascolta la musica dal suo cellulare, infilandoselo nella tasca posteriore dei jeans. Prende un big bable rosa dalla borsa e comincia a fare palloni, come faceva da ragazzina, mentre guarda il mondo da dietro i suoi occhiali da sole preferiti.

E' estate. E lei si sente come se fosse in vacanza. Oggi è il suo giorno libero e sta andando a trovare uno dei ragazzi più fighi che abbia mai conosciuto in vita sua, si sente come la ragazzina che è stata un tempo...   ma questo le fà correre un brivido gelido lungo la schiena. Ripensa a com'era all'inizio con Aaron. 

Tutto magico.

Le farfalle nello stomaco, quando lui la guardava. Le attenzioni che riservava solo a lei, il modo che aveva di escludere tutti gli altri e farla sentire importante, come la ascoltava parlare rapito. Poi aveva scoperto per caso che amava la musica e aveva cominciato a chiedere il  suo parere per un riff , oppure per la strofa di una canzone.. ripensa alla prima volta che aveva cantato una  canzone  scritta da lei, a come si era sentita orgogliosa ... il giorno in cui avevano sostituito  il tastierista del gruppo e le aveva chiesto di prendere il suo posto.

Aveva vissuto in una favola per mesi, dove giorno dopo giorno lui era diventato per lei indispensabile come l'aria. Erano sempre insieme, lui aveva cominciato a portarsela dietro ovunque, a dirle che era il suo portafortuna di cui non poteva più fare a meno. Lei aveva smesso di vedere gli amici, fare sport ,  studiare.. c'era solo Aaron e la musica. 

Era tutto perfetto.

Poi era arrivata la proposta di una casa discografica, la possibilità di suonare come spalla per un gruppo locale di successo, il miraggio della celebrità. Sapeva che Aaron non avrebbe rinunciato a quella possibilità e lei non poteva rinunciare a lui. Quando  le aveva chiesto di seguirlo lei aveva accettato senza neanche riflettere un secondo sulle possibili conseguenza. Sapeva che suo padre non glielo avrebbe mai permesso, ma lei ormai era maggiorenne. Non aveva bisogno della sua approvazione, si sentiva grande.

Si chiede quando il suo amore si è tramutato in dipendenza. Come ha fatto a non accorgersi che  tra lei e Aaron le cose stavano velocemente degenerando. Il sesso estremo, le liti furibonde, la sensazione di sentirsi perduta se non passava insieme a lui ogni minuto del suo tempo. Quando per lui era diventata un peso?  Quando aveva smesso di essere la ragazza indipendente, sicura di sè, corteggiata, piena di amici e d'interessi che era sempre stata prima di conoscerlo?

Non riuscivano a stare insieme senza eccessi e allo stesso tempo non riuscivano più a stare separati. Il loro amore così esplosivo, esaltante, luminoso era diventato tossico. Li avvelenava entrambi, ogni giorno di più.

Aveva provato qualunque cosa, per cercare di tenerlo legato a lei. Il sesso, le droghe, l'alcool, la gelosia, le urla, i litigi furibondi.. era stata una lenta ma inesorabile discesa all'inferno. Ricorda come fosse ieri il giorno in cui si era rinchiusa in bagno con quel maledetto bastoncino in mano. I secondi che passavano, lenti, in attesa di scoprire il risultato. E poi quel segno più.

Lo strizzone che aveva sentito alla bocca dello stomaco, quando aveva letto la sua condanna.

L'ineluttabilità del fatto che lei non potesse sapere con certezza chi fosse il padre di quel bambino. La certezza che si era spinta oltre e questa volta non sarebbe stata in grado d' ignorare la sua voce interiore che urlava quanto tutto questo fosse sbagliato. Aveva dovuto guardare la realtà in faccia : la consapevolezza che crescere un figlio così, tra droghe e litigi sarebbe stata un peccato mortale le aveva dato il coraggio che le era sempre mancato per fare quella telefonata.

Era uscita dal bagno, aveva preso il cellulare in mano senza darsi il tempo di esitare come i mille tentativi passati andati a vuoto, e aveva finalmente  digitato il numero che conosceva a memoria con la certezza di mettersi in salvo. Ma era troppo tardi.

Non fà più le bolle e la sua camminata adesso è molto meno baldanzosa.

Ricorda la rabbia. La rabbia ceca, rossa, bruciante quando aveva scoperto che lui lo sapeva. Aaron sapeva che suo padre era morto, ma non le aveva detto niente. Aveva capito in quell'sitante il motivo per cui lui non lo aveva fatto: sapeva che se lo avesse detto che suo padre era morto e che l'avevano cercata per il funerale, lei lo avrebbe lasciato. 

E lui non voleva lasciarla andare. 

La felicità che aveva provato, la gioia malata che l'aveva fatta sorridere per un istante al pensiero perverso che lui l'amasse a tal punto da tacerle la notizia del funerale di suo padre, l'aveva spaventata. Un attimo dopo era furiosa, con lui e con se stessa.

Quello non era amore.

E qualunque cosa fosse, aveva capito, doveva allontanarsene.

Non era stato per il bene del figlio che portava in grembo, ma per quella rabbia che se n'era andata. Aveva buttato le sue cose in una borsa, aveva preso la chitarra e i 50.000$ che sapeva Aaron teneva nascosti e se n'era andata, senza voltarsi indietro, senza riflettere, senza salutare nessuno. Era scappata. In un qualche modo sentiva che quella era la sua ultima possibilità di salvarsi.

Era salita sul primo autobus in partenza per la costa Ovest e non si era più fermata. E quando aveva avuto la tentazione di voltarsi indietro il pensiero di suo padre le aveva dato la forza di continuare a scappare. 

Aveva fatto la cameriera, la cuoca, suonato in qualche locale, si era fermata là dove l'avevano assunta per poi rimettersi in viaggio quando serviva. Una mattina si era svegliata e aveva scoperto che aveva avuto un aborto spontaneo. 

Non aveva pianto: sapeva che non si meritava quel bambino.

Prende la metropolitana in automatico, senza entusiasmo all'idea di dove la porterà. Sà che era solo una ragazzina all'epoca, ma ha fatto errori talmente gravi da farle preferire per anni di non vivere affatto. Le bastava sopravvivere senza un'idea di futuro, un giorno alla volta.

Pensa a Cain : lui è come la mela dell'albero proibito, nel giardino dell'Eden.

Se decide di coglierla le porte del bene e del male si spalancheranno di nuovo davanti a lei e sarà di nuovo il libero arbitrio.








Fuoco e fiammeWhere stories live. Discover now