110. Dillon

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Si sveglia con un incredibile mal di testa.

Prova ad aprire gli occhi ma la luce del sole che entra dalla fessura della persiana accostata gli ferisce la vista  come potrebbe fare un potentissimo laser. Infila la testa sotto il cuscino. Non vuole alzarsi.

Vuole continuare a dormire, prova ad addormentarsi di nuovo ma niente da fare... in testa ha un martello che non smette di picchiare e deve assolutamente bere dell'acqua. Gli sembra di avere attraversato il deserto da quanto ha la bocca riarsa.

Si alza, faticosamente e si trascina in bagno. Prende due pasticche dall'armadietto delle medicine e beve direttamente dal lavandino per mandarle giù, guardandosi nello specchio si accorge di indossare ancora i vestiti stazzonati del giorno prima. Ha gli occhi rossi e la barba incolta, è uno schifo insomma.

Non ha la forza per levarseli, torna in camera, si ributta sul letto e chiude gli occhi. La sera prima è uscito con un unico scopo: quello di devastarsi e non pensare a niente. Ovviamente ha centrato l'obbiettivo.

E' andato da Joe un suo amico dell'università che ha aperto un pub a San Diego dopo essersi laureato e ha passato la serata lì, a bere e ricordare i vecchi tempi. Non sà neanche come è tornato ha casa, probabilmente Joe lo ha messo su un taxi quando ha visto che non era più in grado di connettere.

Vuole solo che le pasticche facciano effetto, che il mal di testa gli passi e riesca a ripiombare nel sonno. Non vuole pensare a quello che lo aspetta oggi.

Red, Viky, il locale... potrebbe darsi malato.

E' mercoledì ma anche se stasera saranno pieni di gente, potrebbero senz'altro cavarsela senza di lui. Dopo tutto ha  il diritto di prendersi una pausa.

Ha bisogno di una pausa.

Vuole schiarirsi le idee e capire cosa fare e non può farlo se Viky continua a guardarlo con quegli occhi adoranti ansiosa di compiacerlo in tutto. Red è un altro problema poi, sà che tra loro non funziona, per qualche assurdo motivo  non c'è alchimia e forse mai ci sarà, ma deve metterla al corrente di quello che rischia con Cain. La userà e la butterà, come fa sempre con tutte.

Non vuole essere uno stronzo, è semplicemente la verità.

Cain è un sopravvissuto. 

E come tutti i sopravvissuti ha dovuto imparare a sacrificare qualcosa. Con la famiglia che ha avuto  è ovvio che siano stati i sentimenti: sua madre è una sorta di cyborg anaffettivo e androgeno, il padre un accademico determinato a salvare il mondo con la scienza incapace di accorgersi  che intanto, a casa,  sta perdendo suo figlio...non sà cosa ci sia nel passato di Ginger, ma vuole per lei un futuro luminoso e dubita che potrà averlo all'ombra di Cain.

Deve fare delle scelte, ma ha bisogno di tempo per capire quali siano quelle giuste.

Dopo quasi mezz'ora di tentativi  è ovvio che non riuscirà a riaddormentarsi. Si alza, controvoglia. Si leva i vestiti e si fà una doccia, per levarsi l'odore acre di alcool e fumo che sente addosso, si asciuga e si fà la barba.

Quando ha riacquistato sembianze umane si veste e decide di tornare nel mondo reale. Prende il cellulare e lo accende per chiamare Ginger e dirle che non si sente bene, ha bisogno che lo sostituisca al locale anche questa sera.

Non fà in tempo però a fare la chiamata: 24 messaggi e 16 chiamate senza risposta lo avvertano che deve essersi perso qualcosa. Ross, Viky, Red e Sam lo hanno cercato varie volte la sera prima. Vede che Viky lo ha chiamato anche in mattinata. Ma che ore sono?

Cristo Santo! Le quattro del pomeriggio?? Ma a che ora è tornato la sera prima.... prova a ricordare. E' possibile che quando è sceso dal taxi ci fosse già la luce dell'alba?

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